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1 commento su “Un ricordo per il nostro collega Giorgio Di Leva”

  1. Cari amici e familiari, (aprile 2017)

    il compianto collega Giorgio Di Leva ha lavorato in laboratorio ricerche per tanti anni a fianco dell’ingegner Cafissi. Poi, è passato alla Direzione Qualità.
    Non passava inosservato per la sua napoletanità; era di una simpatia più unica che rara. Chi l’ha conosciuto ne conserva nel cuore un bellissimo e amatissimo ricordo. Allegro e divertente prendeva tutto per gioco; amava la vita e ne valorizzava i punti positivi. Senza offesa, lo consideravo alla stessa stregua del personaggio della commedia napoletana Nicolino (alias Pietro De Vico). Quando si presentava per lavoro nel mio reparto cominciava il suo show, naturalmente prima il dovere e poi il piacere. Era difficile non ridere perché le risate le strappava in automatico. Sto cercando di ricordare un momento che io l’abbia visto triste o arrabbiato, ma non mi viene niente di particolare nella memoria. Sicuramente sto cercando a vuoto una cosa che non esiste. Nel suo campo professionale era una persona molto seria, competente e affidabile; non prometteva ciò che non avrebbe rispettato. Che io ricordi era anche un testone, nel senso buono della parola; se aveva un obiettivo da raggiungere, non c’era distrazione che potesse distogliere la sua mente dal suo problema. Era capace di prendere tutti in giro e ridere sui difetti umani, ma non faceva del male ad alcuno. Aiutava, e si faceva in quattro, chi gli chiedeva un parere o un consiglio perché in questo suo compito si sentiva un maestro: ne aveva tutte le capacità e l’esperienza di vita. Provava e riprovava i suoi circuiti e alla fine ne usciva vincitore: masticava l’elettronica e questa materia tecnica non aveva segreti per lui. Ci chiamava tutti col nomignolo: Carminiello, Peppiniello, Albertiello. Ciò ci faceva sentire più amici. Che uomo Giorgio: ripeteva ogni tanto una frase storica del grande Totò. Diceva: al mondo ci sono uomini. ominicchi e quacquaracquà. Questi termini letterali li affibbiava in modo appropriato alle varie persone che gli ruotavano intorno. Non aveva problemi riverenziali con alcuno: sapeva il fatto suo e non temeva nessuno. Ciò che doveva dire lo diceva e non lo mandava a dire: questa qualità era dovuta alla sicurezza nei suoi modi di fare e di pensare. Coglierlo in fallo era una cosa impensabile: faceva il suo dovere, anche se, talvolta, sembrava che scherzasse. Il suo il spirito libero non amava catene: era un uomo di pace e andava d’accordo con tutti. Nessuno mi ha mai detto di avere litigato con lui o aver avuto problemi di relazione. Conosceva la bilancia per misurare le situazioni e sdrammatizzava ogni cosa con quell’aria da sornione. Da autore penso che la vita sia un teatro dove ognuno di noi è nel contempo attore e spettatore. Giorgio, per la sua sagacia e la capacità di interpretare la vita, son certo che fosse un attore nato, in ogni circostanza. Non amava truccarsi o preparare i testi: la sua spontaneità era un capolavoro; riusciva a rendere una commedia anche una tragedia. Era impossibile non ridere a guardarlo: aveva un sorrisetto ironico e affabile, ma spontaneo come se fosse stato un figlio d’arte. Che abbia sbagliato mestiere? Chi può dirlo. Noi viviamo come possiamo e non come vorremmo vivere.
    Auguro all’amico Giorgio la pace eterna e a chi l’ha amato e conosciuto la gioia di aver condiviso con lui momenti belli e indimenticabili.
    L’autore Carmine Scavello

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